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 Il nostro tempo e la speranza (1)
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Gaetano


Regione: Lombardia
Prov.: Milano


255 Messaggi

Inserito il - 06/02/2009 : 14:34:14 (5579)  Mostra Profilo Invia a Gaetano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
“Non bisogna dimenticare la tendenza dell’animo
calabrese verso le cose superiori, la sua facoltà di mettersi a
contatto, sempre dal suo angolo, con le grandi idee
universali, la sua fede nei sentimenti alti (…).
Questa regione è in contatto continuo con la natura e i misteri”


Corrado Alvaro, Calabria


Durante il mio recente viaggio verso SADE, ascoltavo nel bus le parole di una giovane signora di Belvedere: “alle volte non mi sento né carne, nè pesce; vivo al nord da anni con la mia famiglia, ho un buon lavoro ma non mi sento a casa, non riesco a considerare mio quel mondo non avendolo vissuto dall’infanzia. D’altronde, quando torno come ora al mio paese mi accade quasi la stessa cosa, mi sento quasi come un’estranea, come se parte delle mie radici si fossero recise..”.

Penso che molti di quelli che vivono da anni lontano dal nostro paese possano immedesimarsi in queste parole ed avvertire questo stesso senso di “spaesamento” e d’inquietudine.

Sentimenti, questi, investigati a fondo da Corrado Alvaro in molte opere, come il senso del distacco, della perdita d’identità, dell’errare continuo, segno caratteristico, quasi antropologico del calabrese.

Del resto Alvaro è il cantore di un mondo in continua trasformazione, in bilico tra tradizione e modernità,essendo convinto assertore del fatto che la nostra antica civiltà, se ben custodita, possa costituire per tutti noi uno strumento formidabile per orientarsi e vivere appieno le complessità del mondo nuovo che avanza.

Ho pensato pertanto di inaugurare sul forum, se siete d’accordo, una specie di rubrica (come una volta i “racconti del venerdì”), dove prenderemo spunto da alcune citazioni dai libri di Alvaro per discutere, come recita uno dei suoi libri più belli, de “il nostro tempo e la speranza”


Gaetano

marilena


Regione: Lombardia
Prov.: Milano
Città: Meda


215 Messaggi

Inserito il - 06/02/2009 : 14:47:45 (5579)  Mostra Profilo Invia a marilena un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ciao Gaetano,
hai avuto un'idea bellissima
grazie
Marilena

Modificato da - marilena in data 06/02/2009 14:49:18
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Antonio


Regione: Lombardia
Prov.: Milano
Città: Milano


361 Messaggi

Inserito il - 11/02/2009 : 00:45:36 (5574)  Mostra Profilo Invia a Antonio un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ciao Gaetano,

in una delle riviste on line che ricevo per lavoro, ho trovato questo articolo che ritengo interessante e ben collegato al discorso sulla (nostra) memoria e identità. Ve lo propongo.
Ringrazio Maurizio Rompani e Msrio Modica per aver prontamente concesso l'autorizzazione alla ripubblicazione.



La nostra memoria

Desidero suggerirvi un libro molto bello, ma anche, soprattutto per noi italiani, molto difficile :“ L’etica della memoria “, della scrittrice Avishai Margalit: il tema, come dice il titolo, è quello del percorso del recupero del passato nella costruzione morale di un individuo e di una comunità, anche se talvolta questo può essere uno dei compiti più dolorosi. Perché se pensiamo davvero che una memoria condivisa può fondare o rafforzare il sentimento di identità di un gruppo sociale, di una nazione, dobbiamo anche riconoscere che una etica della memoria è una etica tanto del ricordo quanto dell’oblio e del perdono.

Mi sono chiesto perché c’è da parte dei giovani, ma onestamente anche dei meno giovani, un rifiuto del passato, un vedere tutto quanto ci ha preceduto come sinonimo di vecchio, di inutile. Non mi riferisco solo allo studio della storia nel nostro percorso scolastico, ma nel non vedere in quello che ci ha preceduto l’origine necessaria dell’oggi. Viene spontaneo accostare questo rifiuto al rigetto, sempre da parte della maggioranza dei giovani, della politica, o almeno ad un modo di far politica.

La ricerca delle motivazioni è sicuramente vasta e articolata, ma desidero soffermarmi su due in particolare.
La prima è quella di una storia e di una politica presentate come “anti“ qualcosa o qualcuno.
Lontane dalle tematiche che saranno, dal contesto futuro, ma continuazione dei problemi del passato e del presente, un esistere giustificato e legato solo a quello a cui ci opponiamo; se cessa di essere, cessiamo di essere anche noi, o meglio non serviamo più perché siamo solo un riflesso; ecco perché molte volte chi si dichiara forte oppositore di una idea, di una persona, di una teoria, spera nel suo intimo che questa continui invece a durare, per giustificare il proprio continuare ad esistere. Dichiarasi “anti “ significa non assumersi delle responsabilità nel costruire, nel proporre, ma significa anche lasciare il ruolo di leader carismatico non ha chi gestisce e dirige il pensiero politico, ma a chi indirizza la capacità di consumo. Se non offriamo modelli di società, ma solo opposizione alle idee degli altri, non possiamo poi lamentarci di non avere ideali, di non credere in qualcosa.

Il secondo motivo, certamente ancora più grave, è quello di interpretare la storia e la politica esclusivamente a nostro beneficio, non sottoponendola ad una analisi critica, non offrendola come base per costruire qualcosa, ma solo come punto di scontro e di giustificazione per le nostre idee e motivazioni. E’ una grossa responsabilità quella di appropriarsi del passato di tutti per offrirlo con una lettura di parte, una società per pensare a costruire il domani deve condividere il suo passato, non proporlo come motivazione per le divisioni: condividerlo non significa giustificarlo e accettarlo in modo incondizionato, vuol dire studiarlo, interpretarlo, farsene carico collettivamente che è l’unico modo per cui gli errori non vengano ripetuti.

Non riflettere, non cercare di capire il perché, attribuire solo le responsabilità, tirarsene fuori, addebitare sempre e solo agli altri la parte meno limpida del nostro passato come del nostro presente è non solo uno sbaglio, ma anche una delle nostre principali colpe: quella di rifiutare la nostra memoria e di non onorare chi l’ha scritta per noi.

Maurizio Rompani


Articolo pubblicato su Spot&Web N°25 Martedì 10 Febbraio 2009 pag 20.
http://www.spotandweb.it/archivio/2009/02/025_09.pdf-
Grazie all’Autore e a Mario Modica per l’autorizzazione alla ripubblicazione




La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre.

E dopo il settimo giorno, Dio creò l'ottimo giorno.
(Serafini)
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marilena


Regione: Lombardia
Prov.: Milano
Città: Meda


215 Messaggi

Inserito il - 11/02/2009 : 22:11:28 (5574)  Mostra Profilo Invia a marilena un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ci sono tanti modi di vivere il distacco, tanti modi di vivere questa, se pur minima, tragedia esistenziale (per alcuni) per altri evento naturale del partire dal luogo natio, tanti modi diversi per quante anime ci sono al mondo che partono.

Perchè se andando a ritroso negli anni i motivi, nelle diverse generazioni, si possono accomunare in conseguenza di quello che è lo scenario sociale, culturale od economico, le anime non si possono accomunare.

Ognuno deve fare i conti con i propri sentimenti, il proprio vissuto, le proprie esperienze, i propri sogni ed aspettative, la realtà di prima e di dopo.
Deve inevitabilmente confrontare quello che lascia con quello che ritrova, quello che crea con quello che distrugge sia nel mondo materiale sia in quello affettivo.

E' cosi che nascono i diversi atteggiamenti, ma sopratutto e in relazione a come siamo dentro che reagiamo, metabolizziamo, cresciamo, accettimo o non accettiamo.

Quello che voglio dire è che dietro ogni "juta" c'è una vita ed un esperienza di vita unica e diversa dalle altre, e che tutti gli atteggiamenti sono ugualmente capibili e legittimi, sia di chi vuole dimenticare a tutti i costi, sia di chi non vuole smettere di ricordare.
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